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Dr. Alessio Tortorella – Psicologo, Psicoterapeuta e Psicoanalista a Firenze
Lettura e Psicoanalisi Articolo Dr. Alessio Tortorella - Psicologo Psicoterapeuta Psicoanalista Firenze

Ha smesso di piovere: lettura, relazioni e Psicoanalisi

Posted on 5 Gennaio 202513 Maggio 2025

“Crescere. […] Ma che strano comandamento! Che bisogno c’è di prescriverlo […]?” A. Carotenuto, lettera aperta a un apprendista stregone

“Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini” H. Heine, Almansor

Nella sola giornata del 10 maggio ‘33 in Germania vennero bruciati più di 25.000 libri “non tedeschi”, ritenuti contrari al nuovo regime. Eppure “I manoscritti non bruciano” dice Bulgakov ne Il Maestro e Margherita, creando una delle frasi più iconiche per rappresentare la libertà di espressione. Credo che la Psicoanalisi e la Lettura abbiano in comune qualcosa di magico che sembra non essere paragonabile a nessuna altra forma d’arte. Nessuna opera d’arte esiste senza il fruitore, ma in nessuna come nella lettura e nella Psicoanalisi questo diventa così violentemente vero. Impugnare una penna significa diventare parte attiva della creazione del mondo, è un passaggio fondamentale a livello esistenziale, che oserei definire fallico. Ma lo scrittore ha bisogno del lettore perché l’alchimia avvenga, e non è possibile che il lettore possa restare mero spettatore passivo come dinanzi a una musica, un film, o un dipinto. Il lettore deve avere una parte fallica a sua volta, deve mettere in gioco la sua propria volontà. Ed allo stesso tempo deve farsi cavo, passivo, ricettivo, deve permettere alle immagini di germogliare dentro di lui in un processo in cui parte attiva e passiva, creazione e ricezione, sono in continua dialettica. Il processo di lettura è un processo generativo, vitale. È un processo possibile solo contattando una dimensione vitale erotica, perché richiede la messa in campo di entrambe le nostre parti attiva e passiva, mascolina e femminina, dandoci giustizia nel nostro essere allo stesso momento parte del mondo e suoi creatori. E che cosa è la relazione psicoanalitica se non una storia continuamente scritta e letta dalla coppia analista-paziente? Le parole diventano strumento per risvegliare la parte vitale che il paziente, inconsapevolmente, sente mancante. Il paziente racconta tutto ciò che può intorno a questa parte morta, o forse meglio non ancora cresciuta. Rende bene questo significato Loewald quando si chiede ‘quanto è vivo questo legame?’ intendendo quello fra un linguaggio adattivo-secondario, utile per raccontare il mondo ma sostanzialmente morto, e quello affettivo-primario, in cui esiste una densità primordiale quasi indistinta tra parola ed esperienza vitale. Non può esistere una vera lettura se non attraverso l’esperienza affettiva-erotica del lettore, mobilitando le sue immagini private attraverso le quali, in maniera noetica, il lettore istantaneamente vive attraverso i due punti dell’esperienza letta e di quella interiore evocata, la retta infinita che collega tutte le stesse esperienze del mondo. Nell’analisi il paziente allinea le esperienze a più livelli, quello infantile, quello attuale, quello interiore e soprattutto, finalmente, quello del presente della sua relazione con l’analista: ognuna di queste esperienze diventa viva solo in funzione del significato archetipico universale. Così elaborare il lutto può avvenire solo attraversando l’esperienza in sé, contemporaneamente accettando la perdita del posto di figlio unico, della sua posizione infantile, del cane tanto amato da bambino e della fantasia di essere l’unico paziente. Come in un computer quantistico, la vera trasformazione psicoanalitica non è sequenziale, ma parallela, ed implica un “salto quantico” rivoluzionario in cui proprio il lutto, citato esemplificativamente, è il nocciolo. Non può esistere un nuovo istante, se non si è disposti a lasciar morire quello precedente. Platone parlava di “esercizio alla morte”, e Nietzsche di struttura edipica del tempo. Nei fatti, non possiamo diventare adulti senza lasciar morire la nostra identità solo bambina, ma dobbiamo morire per rinascere più grandi e capaci di incorporarla.

La Psicoanalisi, come la lettura, è un esercizio alla morte per crescere e rinascere alla vita. A volte penso che uno dei più grandi meriti di Freud sia stato quello di aver salvato dal rogo il valore della vita erotica incapsulandolo nel concetto di inconscio, medicalizzato, scientificizzato e quindi più accettabile dalla cultura positivista della nostra epoca, proprio come un cittadino tedesco sotto il nazismo avrebbe potuto salvare un libro di Kafka rivestendolo con la copertina di “Nelle tempeste d’acciaio” di Ernst Jünger (pare l’autore preferito del Fürer).

Crescere significa quindi leggere la propria esperienza in maniera sempre più prossima e vorticosa fino a diventare capaci di uscire dalla porta del proprio personale show come Truman quando dice: “Casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buona sera e buona notte”. Crescere, emanciparsi, imparare a morire e rinascere. Ogni analista, come un buon genitore, non desidera altro per sé e per i suoi pazienti. L’esperienza Narrativa però, per essere davvero esperienza e non mero intrattenimento, come per Truman nel suo show, deve smettere di essere vissuta in maniera passiva e sempre uguale, e deve essere compresa, digerita ed elaborata. Per fare questo però Truman aveva bisogno di un pubblico, che successivamente si è trasformato in un interlocutore. Questa magia che è nelle premesse del percorso analitico, non è così differente dall’esperienza che è possibile provare nei gruppi di lettura. In questi ultimi anni, insieme alla mia amica Rossella Di Maria, abbiamo provato a portare questo spirito nei diversi gruppi di lettura che abbiamo organizzato. La scelta del tema e dei libri è stata estremamente varia e democratica. Ma ogni volta, da qualsiasi libro partissimo, confrontarsi in gruppo sui vissuti rendeva possibile fare esperienza diversa della storia e soprattutto dell’Altro, entrare nel punto di vista della persona che ci raccontava lo stesso libro, magari da una prospettiva e con una sensibilità che non avevamo percepito. Ogni personaggio del libro ci racconta una parte di noi, risuonando ci dice di quali parti interiori ci sentiamo padroni, o quali abbiamo paura di riconoscere nostre. Le discussioni si muovevano attraverso una continua emersione verso la trama del libro, e ri-immersione verso i richiami diretti o indiretti alla propria esperienza personale.

L’ultimo gruppo di lettura ha scelto di incontrarsi intorno al libro di Andrés Barba “Ha smesso di piovere”. È una raccolta di quattro racconti che si sviluppano intorno allo stesso tema, come dice Mario Vargas Llosa, “Quattro storie di genitori e figli, quattro storie crudeli e fragili in cui trionfa la vita «misteriosa, ingovernabile, stupefacente»”. Nella sinossi si legge: Un musicista che riscopre nel figlio tutte le ombre di un’infanzia che voleva dimenticare; la presenza schiacciante di una madre anziana e capricciosa; l’estate di una ragazza che non conosce l’amore, ma che – scoprendo il tradimento del padre – si accorge di aver già perso qualcosa; un uccello del paradiso che tenta una fuga impossibile e ostinata dalla cupola di vetro di un centro commerciale […]Sono tutti racconti che parlano di genitori e figli. E sono tutti, in modi sempre diversi, racconti crudeli: perché sembra inevitabile e crudele la distribuzione dei ruoli nella specie, tra chi nasce carnivoro e chi per forza deve essere preda, tra chi sembra senza rimorsi e chi deve accettare la propria inferiorità. Eppure, in questi racconti come nella vita, a un certo punto «smette di piovere». Smette di piovere e si alleggeriscono i pesi che premono sulle vite delle persone, quando uno scatto di consapevolezza regala la possibilità di guardare il mondo in maniera diversa. Smette di piovere all’improvviso, quando senza fatica si abbandona un dolore, quando ci si può voltare e riprendere a camminare per andare da qualche parte invece di muoversi soltanto per allontanarsi.

Nel procedere della discussione sono certo che ognuno dei partecipanti ha pensato a sé stesso ed alle proprie vite familiari, ridiscutendole interiormente (e talvolta anche esteriormente) rispetto alle sue scelte, alla propria vita attuale e soprattutto al proprio sentire. Una grande parte del dibattito è stata catturata dalle domande, più o meno esplicite, se sia possibile diventare adulti senza odiare, uccidere simbolicamente e perdonare i propri genitori, se esista la possibilità di una adolescenza ed una iniziazione alla vita adulta senza traumi, se i traumi siano causati da genitori egoisti, cattivi, o semplicemente dalla loro umanità. Sono sicuro che ognuno di noi, in questo gruppo ha ripensato qualcosa di sé come figlio, come adulto o come genitore. Tutte e tre non solo come identità reali, ma soprattutto come posizioni simboliche: si può essere figli del mondo troppo più grande di noi, adulti in un mondo accessibile ma affettivamente distante, o genitori di un progetto, un’idea, un paziente, o soprattutto, ci si augura, di sé stessi.

Personalmente non ho potuto fare a meno di collegare quanto il tema della Psicoanalisi e della crescita fossero annodati in questo libro e mi riguardassero da vicino per tanti aspetti. Come in un gioco di specchi, il mio prossimo trasferirmi in un’altra città mi mette in una posizione di figlio e genitore rispetto al gruppo che ho contribuito a creare e che sto per lasciare. Anche rispetto alla comunità, mi sono sentito figlio di questa città, dalla quale sono andato via tante volte sbattendo la porta, e dalla quale oggi mi sembra di andare via un po’ più cresciuto. Ma anche come un genitore, che potrebbe far parte della schiera del libro di Barba, un po’ egoista ma fondamentalmente umano. Forse quel tipo di egoismo che concede ad ogni figlio l’autorizzazione ad odiare, separarsi e diventare sé stesso, a sua volta umanamente e sanamente egoista. Non so quanto sia possibile a priori stabilire la misura giusta di questo egoismo. Certo oggi mi allontano di nuovo dalla mia città, non senza rammarico, ma con la bellissima sensazione di averla amata ed essere stato amato. Grazie ai semi che ho provato a seminare ed alla terra che ho visto accoglierli e farli germogliare. Grazie ai pazienti che ho visto crescere dentro e poi fuori dal mio studio. Grazie ai colleghi, amici, mentori. E a chiunque in questa comunità si sofferma non solo ad intrattenersi ma anche a comprendere l’altro, mediando il proprio egoismo con il senso di amore. Mi accorgo che l’intento di questo articolo ha deviato e preso una piega personale, e mi chiedo se, come avviene nella stanza di analisi, più che correggere il tiro sia il caso di “leggere” ciò che emerge e restituirle il senso. E credo che l’unica possibilità di dare senso alle cose sia questa: fermarsi ad ascoltarle, leggerle, comprenderle, per poterle organizzare dentro di noi in una narrazione della quale, crescendo, assumersi la responsabilità.

Articolo pubblicato nella Newsletter de Il Ruolo Terapeutico di Foggia

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