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Dr. Alessio Tortorella – Psicologo, Psicoterapeuta e Psicoanalista a Firenze
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Dr. Alessio Tortorella – Psicologo, Psicoterapeuta e Psicoanalista a Firenze

Essere genitori ed essere ragazzi, nell’epoca dei social

Posted on 18 Gennaio 201919 Gennaio 2019

Un ragazzo di 16 anni mi racconta che, come tanti ragazzi della sua età, trascorre i suoi pomeriggi scorrendo Instagram e TikTok (un nuovo social per condividere video).

“Cosa ti piace vedere?” gli domando.

“Mah, diverse cose, le foto dei miei amici, i video divertenti, i video degli incidenti…”.

“Degli incidenti?” gli chiedo?

“Si”, mi dice guardandomi come se stessi domandando qualcosa di ovvio. Poi scorre un po’ sul telefono e me lo porge, e mi mostra un video in cui un autoarticolato investe un ragazzo in motorino, e questa persona letteralmente esplode sotto il peso del mezzo. Gli ripasso il cellulare e lui riguarda il video di pochi secondi, poi alza lo sguardo, mi sorride senza troppo entusiasmo e mi dice “Hai visto?”

Mi tornano alla mente i miei 16 anni, quando sentivo mia madre commentare gli incidenti passati al telegiornale, resisteva alla notizia ma quando iniziava il servizio le immagini la turbavano, e cambiava canale, a volte commossa. Io non capivo il suo turbamento, il suo coinvolgimento che a me, adolescente, sembrava eccessivo, specialmente per qualcuno che nemmeno conosceva. Ma lei era madre, e quando a morire per strada erano soprattutto i giovani, lei tremava.

Nella notte tra Sabato e Domenica sono morti in un incidente stradale a Cerignola due ragazzi, Agostino Antonacci e Aurora Traversi, di 18 e 16 anni. Anche l’autista, molto giovane, Michele Balzano di 22 anni, e una ragazza di 14 anni, Federica Pia Albanese, sono rimasti feriti.

Cercando online articoli e post per saperne di più provavo preoccupazione, ho sentito turbamento e ho capito che vedere mia madre, preoccupata, turbata, mi aveva insegnato che quando un ragazzo muore è una cosa brutta, che ne puoi rimanere turbato, anche se non lo conosci, che puoi sentire il dolore come se accadesse a tuo figlio; e che cambiare canale significa rispettare dentro di sé il limite dopo il quale anche il dolore, anche la morte iniziano a diventare normali, a non turbare più.

I ragazzi oggi vengono esposti a questi contenuti prima ancora di imparare a scrivere con una penna, qualcuno prima di essere capace di leggere. Ricordo i miei primi studi sull’esposizione alla violenza nella radio, nella televisione, e dagli anni ‘90 ci si interroga sull’influenza dei videogiochi violenti nelle stragi come quella della Columbine High School. Poi è arrivato internet diffuso, e i social. Perché dovremmo allarmarci di più, oggi, con i social?

Le risposte sono tante, tutte molto valide, e sarebbe lungo scendere nei dettagli. Ma provo a riassumerle banalmente così: i social sono media che di per sé favoriscono l’utilizzo della parte razionale del cervello, riducendo l’utilizzo di quella emotiva. L’uso che ne facciamo oggi è eccessivo, pervasivo, i contenuti estremi sono raggiunti senza alcuna difficoltà che possa inviare un segnale d’allerta al nostro cervello, e senza nessuna cornice che ne dia un senso emotivo. Mentre un ragazzo vede un video, da solo, seduto alla sua scrivania tra una partita alla play e un compito di geometria, non c’è nessuno che resti turbato con lui, nessun volto che cambia espressione e si contrae esprimendo rammarico o dolore, dando un significato emotivo al contenuto di quel video.

Sull’incidente di Cerignola molti titoli riportavano, quasi come fosse la parte centrale della vicenda, che il conducente era stato arrestato. Davvero è la parte che ci interessa di più? Temo che per molti sia così. Alimentare solo la “parte razionale” di noi stessi, a discapito di quella emotiva, genera macchine, problem solvers che davanti alla morte di due ragazzi cercano solo un colpevole, prima ancora di piangerli.

E allora il colpevole è l’autista. Oppure sono i genitori che li hanno lasciati in giro fino a tarda ora. “I genitori di oggi non danno regole… che ci facevano quei ragazzi in giro a quell’ora?” sono tra i commenti più diffusi sotto la notizia. La razionalità epurata dell’emozione profonda e autentica crea accusatori, crea haters, crea persone che vedono problemi, meccanismi, ingranaggi, non altre persone.

Da dietro la tastiera è difficile vedere la smorfia di dolore dei genitori di quei ragazzi, che forse hanno fatto del loro meglio per proteggerli, e forse sono loro i primi ad accusarsi, magari ingiustamente, che non sia stato abbastanza. Non è facile vedere lo sguardo assente di un ragazzo di 22 anni che magari si chiede cosa avrebbe potuto fare o non fare, per evitare due morti ai quali penserà per tutto il resto della sua vita.

Ecco, io mi chiedo se ancora è possibile imparare le emozioni. Le neuroscienze ci insegnano che le emozioni si apprendono, e si apprendono guardando i genitori, guardandone il volto mentre cambia in base a cosa accade intorno a loro, e a noi mentre siamo con loro. È ancora possibile essere genitori, ed essere ragazzi, nell’epoca dei social?

Alessio Tortorella

Psicologo – Responsabile Sportello Adolescenti Foggia

Presidente Associazione “Parole Contrarie”

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