Spesso in queso periodo si sente parlare di rallentare, quasi come se nel virus che ci sta assediando potessimo vedere un messaggio dalla terra, un sospiro che ci dice “fermati”.
Non è facile per chi ci sta passando in prima persona, per chi sta vivendo gli effetti di questa malattia sulla sua pelle o su quella dei suoi cari. E nemmeno per chi davvero non può fermarsi, o deve addirittura accelerare per assicurare cure sanitarie, servizi straordinari o in qualche modo far fronte alle difficoltà a cui questo momento sta aprendo.
Difficile non sentirsi stringere il cuore pensando ai singoli, alle persone che subiscono tutto intero il peso di una società in continua accelerazione. La velocità del progresso ci porta più rapidamente alle cure contro la morte, ma rischia farci perdere il senso della vita. E così la vita è costretta a urlare per essere vista, ascoltata e, magari, amata.
Questo, per chi può, è allora il momento di fermarsi. Se rallentiamo tutti, anche chi non può farlo potrà sentire il cambiamento. Questo sì che sarebbe un buon modo di mettere in pratica il famoso effetto gregge. Le idee, come i virus, sono invisibili, ma una volta dentro di noi possono cambiarci, e possono propagarsi attraverso di noi, attraverso i nostri gesti, i nostri sorrisi, le nostre carezze. Dovremmo vaccinarci dal virus della velocità per diffondere la lentezza, e l’amore.
Cosa significa davvero rallentare, fermarsi? “Se si è depressi, si vive nel passato. Se si è ansiosi, si vive nel futuro. Se si è in pace, si vive nel presente”. Questo momento ci dice esattamente questo: state dov’è il vostro posto, state a casa, state in voi stessi, state nel presente.
Nel linguaggio dei sogni la casa spesso rappresenta noi stessi. Come mai tanti vivono con angoscia il dover stare in casa? Forse perché stare con noi stessi è difficile, confrontarci con chi siamo veramente e partire da lì, dal presente, dall’immagine di noi che si presenta ai nostri sensi. Non quella che ci rimanda il nostro lavoro, la nostra vita sociale, o social, ma quello che noi sentiamo davvero di noi stessi. È difficilissimo. Ne “La storia infinita” Michael Ende fa affrontare ad Atreyu la prova dello specchio:
“– Dovrà affrontare la porta dello Specchio Magico. Si troverà faccia a faccia con il proprio io.
– E con questo? Cosa vuoi che sia per lui?
– Tutti sono convinti che sia facile. Ma sovente i buoni scoprono di essere crudeli, eroi famosi scoprono di essere codardi. Posti di fronte il loro vero io, pressoché tutti gli uomini fuggono urlando.”
Anche Alice, trova il suo mondo interiore attraverso lo specchio.
Rallentare allora significa fermarsi dentro la propria casa, dentro di sé, e guardarsi allo specchio con occhi veri, senza filtri. Solo così il tempo potrà evolvere, e noi con lui, presente dopo presente.
Personalmente trovo questo rallentamento un nuovo tempo, più familiare. Mi sembra di poter sentire più intensamente ogni secondo, di percepire il movimento delle cose e del mondo intorno al suo asse.
E mi sono chiesto in che modo potessi continuare a stare con i miei affetti lontani, e con i miei pazienti, se non è possibile vedersi di persona. Sentirsi via Skype, Whatsapp, telefono? Difficile pensarla una valida alternativa all’intimità dello studio, all’intensità delle emozioni che viaggiano oltre la parola, soprattutto se anche nella quotidianità domestica non è possibile trovare uno spazio di totale intimità.
Ma davvero voglio affidarmi alla tecnologia in un momento in cui il mondo mi sussurra, o forse mi urla di rallentare?
Forse si, forse no. Forse la risposta è tornare a qualcosa di più antico, in una forma nuova. Ricordo quando scrivevo lettere agli amici dell’estate, distanti chilometri che mi sembravano infiniti a giudicare dal tempo che ci voleva perché il postino potesse recapitarle e tornasse con le risposte. Erano lettere per le quali dovevo prendermi il giusto tempo. I messaggi sui vari social ormai sono sempre scritti facendo altro, di getto, in mezzo a mille altri stimoli. Per le lettere invece si doveva dedicare spazio, un angolo di pomeriggio tranquillo, dove il tempo doveva fermarsi e permetterci di prendere tutti quei pezzetti della nostra vita che volteggiavano rapidi nei nostri pensieri, e incollarli sulla carta, in un foglio che doveva faticosamente portarli integri, chissà per quanto, prima di esserne sollevato dalla lettura del destinatario.
La mia idea è tornare a scrivere. Non rapidi messaggi, ma lettere. E leggerle, ovviamente. Non distrattamente, ma attentamente.
Fermatevi, prendetevi del tempo per voi, per scrivere di voi. Non frammenti di voi, ma il vostro collage di pensieri. Prendetevi tempo per metterli insieme, guardarvi nello specchio di una lettera scritta da voi, su di voi. E tempo per l’altro, per leggerlo, per vederlo ed ascoltarlo davvero.
In fondo, è questo che trasforma gli individui in una comunità, è questo il senso di umanità. Riprendiamocela.
Quanto a me ho deciso di mettere a disposizione questo form per chiunque voglia scrivermi, sapendo che sarà ascoltato, con la riservatezza e l’attenzione che merita ogni parola con la quale diamo forma alla nostra intimità.
Per chi vorrà la lettera potrà essere in forma aperta, e condivisa attraverso i social, se si desidera che il messaggio arrivi pubblicamente a più persone. Altrimenti rimarrà privata, ma sicuramente letta e ascoltata.
Questo è il mio contributo alla lentezza, a chi in questo momento vuole essere ascoltato e sentire che non è solo.
Se il nostro pianeta ci sta mandando un messaggio, allora dobbiamo reimparare ad ascoltare e a comunicare con i tempi dell’anima, dando valore a ciò che diciamo ed ascoltiamo.